Di questi tempi, per noi madri, arrivare alla fine del mese è un’impresa sempre più difficile. Per molte di noi, dunque, la notizia di poter ricevere il TFR (Trattamento di Fine Rapporto, in parole povere la liquidazione), mese per mese, in busta paga, grazie a quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2015, è apparsa come una boccata d’ossigeno.
Seppur vero che questa opzione fornisca un aumento della liquidità mensile, è doveroso, però, chiedersi se convenga veramente, ossia ponderare pro e contro.
Innanzitutto, è bene chiarire come debba essere quantificato il TFR: esso è pari alla retribuzione imponibile annualmente percepita, diviso 13,5 (meno la trattenuta contributiva dello 0’50%); ogni anno, la quota accantonata è rivalutata (applicando un tasso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione), e sulla rivalutazione è dovuta un’imposta dell’11%(ora aumentata al 17%).
La tassazione alla quale è sottoposto il TFR è quella separata: in pratica, significa che , una volta percepito, esso non va sommato al reddito imponibile Irpef, ma è tassato separatamente, con aliquota marginale, operazione nettamente più favorevole, per il contribuente.
Per quanto concerne la destinazione della liquidazione, prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, esistevano già differenti ipotesi, potendo, il dipendente, scegliere se lasciarla in azienda, o destinarla ad un Fondo pensione.
Con la Legge di Stabilità 2015, come abbiamo detto, si aggiunge ora la possibilità di ottenere il trattamento mensilmente (che non è contemplata, attenzione, per i dipendenti pubblici): tuttavia, tale scelta non è esente da svantaggi.
Ovviamente, ricevere i soldi frazionati in questo modo precluderà l’incasso della liquidazione al termine del rapporto di lavoro: è un po’ come la favola della cicala e della formica; in questo caso, chi riceve i soldi, mese dopo mese, sarebbe da paragonare alla cicala, quindi, una volta cessato il contratto di lavoro, si ritroverebbe senza niente da parte.
Tuttavia, direte voi, si potrebbe ovviare al problema auto-amministrandosi con oculatezza, accantonando delle somme; ma, a mio avviso, quanto risparmiato facendo la “formichina” in proprio, non compenserebbe quanto eventualmente si sarebbe guadagnato lasciando anche solo il Tfr in azienda.
Infatti, prelevare la liquidazione ogni mese significa assoggettarla non alla conveniente tassazione separata, ma a quella ordinaria, con una notevole penalizzazione. Ad esempio, un dipendente che abbia diritto ad una liquidazione di 1.381 €, dedotti 332 € di Irpef, calcolati secondo i parametri della tassazione separata,incasserebbe 1.049€ netti. Se lo stesso dipendente optasse per la liquidazione mensile in busta paga, su una quota annua di 1.381€ percepirebbe, complessivamente, al netto, 925€, quindi pagherebbe a titolo di Irpef ben 124 € in più.
Moltiplicando questa cifra per il numero dei contribuenti interessati, salta subito all’occhio l’enorme vantaggio che otterrebbero le casse statali.
Tirando le somme, dunque, possiamo dire che questa scelta sia senz’altro penalizzante, anche se utile, comunque, a chi abbia necessità di un po’ più di liquidità nell’immediato: ad ogni modo, il tempo per rifletterci c’è, dato che non sarà possibile esprimere alcuna opzione, in questo senso, prima del prossimo marzo.
Lascia un commento