Coppie conviventi non sposate: la legge sulle Unioni civili prevede nuovi diritti e tutele.
La legge sulle Unioni civili, recentemente entrata in vigore, disciplina non solo le unioni tra persone dello stesso sesso, ma anche le convivenze di fatto, riconoscendo alla coppia non sposata maggiori tutele e diritti.
Conviventi di fatto: chi sono?
La legge definisce «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
In pratica, è sufficiente la dichiarazione all’anagrafe di una stabile convivenza ed il possesso dei predetti requisiti (stato civile libero, assenza di rapporti di parentela, stabile legame affettivo) perché si instauri una convivenza di fatto: la coppia può essere formata da un uomo e una donna, due uomini o due donne.
Conviventi di fatto: diritti e doveri reciproci
Per i conviventi, la legge sulle unioni civili e la giurisprudenza prevedono solo alcuni dei diritti e dei doveri del matrimonio:
- diritto alla reciproca assistenza morale e materiale;
- dovere reciproco di solidarietà;
- dovere di contribuire ai bisogni della famiglia;
- diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero;
- diritto di designare il convivente come rappresentante, con poteri pieni o limitati;
- diritto a regolare i rapporti patrimoniali con un contratto di convivenza.
Conviventi di fatto: casa di abitazione
Se la casa in cui la coppia convive non appartiene ad entrambi, alla morte del convivente proprietario il superstite ha il diritto di abitazione per 2 anni o, se la convivenza dura da più di 2 anni, per un periodo pari alla durata della convivenza, entro un massimo di 5 anni. Se il superstite ha figli minori o disabili, il diritto di abitazione non può durare meno di 3 anni.
Se la casa è in affitto, il convivente superstite subentra nel contratto di locazione.
Se la casa è data in comodato a uno dei conviventi e questo lascia l’abitazione o muore, la casa dev’essere restituita al legittimo proprietario, a meno che non ci siano figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti: in questo caso, il convivente ha diritto di rimanere, perché, quando il comodato è stipulato per far fronte alle necessità dei figli, non è possibile allontanare colui a cui sono affidati.
Contratto di convivenza
I conviventi sono liberi di regolare i rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune con un contratto di convivenza: questo contratto deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contratto, per essere opponibile a terzi, deve poi essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Il contratto può prevedere:
- le modalità di uso della casa;
- le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune (secondo gli averi e le capacità di entrambi);
- il regime patrimoniale della comunione dei beni;
- il mantenimento di uno dei conviventi;
- la disciplina patrimoniale in caso di cessazione della convivenza (ad esempio, è possibile prevedere un periodo di tempo durante il quale l’ex convivente può continuare ad abitare nella casa comune);
- le previsioni in caso di malattia o incapacità e in caso di morte.
Scioglimento della convivenza
La convivenza può cessare:
- per accordo delle parti;
- per recesso unilaterale;
- per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un’altra persona;
- per morte di uno dei contraenti.
Alla cessazione della convivenza non si ha il diritto al mantenimento, a meno che non sia stato espressamente previsto nell’eventuale contratto.
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