In queste settimane il cosiddetto Jobs Act (ovvero la Legge delega 183/2014) è uno degli argomenti principali, non solo nei vari giornali e TG, ma anche nella maggior parte delle famiglie: questo, perché la Legge prevede, a breve, l’adozione di decreti delegati in settori fondamentali per tutti (alcuni di essi sono già stati emanati, come quello sulla disoccupazione e sui licenziamenti).
Per noi, ovviamente, l’argomento di primaria importanza è la maternità: in particolare, ci si chiede se la normativa sia finalmente in grado di fornire una più ampia tutela per quelle lavoratrici madri che siano prive del contratto a tempo indeterminato.
Innanzitutto, dobbiamo dire che, attualmente, non è ancora stato emanato il relativo decreto delegato, quindi possiamo fare riferimento solo alle disposizioni generali della Legge 183/14.
La norma contiene la regolamentazione in materia di tutela della maternità agli articoli 8 e 9: è scritto esplicitamente che il fine della delega sia offrire un sostegno più efficace ai lavoratori genitori, operando una revisione di tutte le norme inerenti, compresi gli istituti idonei a conciliare famiglia e lavoro.
Si prevede, specificamente, un’indennità di maternità per le lavoratrici a progetto (in attesa del definitivo superamento di questa forma contrattuale), in misura più consistente rispetto a quella attualmente fornita e con requisiti meno stringenti (ad oggi, la lavoratrice iscritta alla Gestione Separata Inps, per fruirne deve far valere almeno 3 mesi di contributi accreditati nei 12 mesi precedenti , e l’ammontare è pari all’80% del reddito medio giornaliero percepito, calcolato riferendosi sempre ai 12 mesi che precedono l’evento indennizzabile).
Oltre ad essere, poi, preordinata l’introduzione di un credito d’imposta per chi ha a carico figli minori o disabili non autosufficienti, ed il finanziamento di servizi aggiuntivi per le cure parentali (dei quali abbiamo parlato nell’articolo in merito ai bonus maternità 2015), la disposizione che costituisce una vera innovazione è senza dubbio la previsione di contratti di solidarietà attivi per le lavoratrici madri prive di contratto a tempo indeterminato.
Tale tipologia non è certamente una novità: in Italia, infatti, quest’istituto esiste sin dalla Legge 863 del 1984, sotto la duplice forma di contratti di solidarietà attivi e passivi. Quest’ultima forma è senz’altro la più diffusa, adottata al fine di evitare licenziamenti in caso di crisi aziendali : difatti, diminuendo il monte ore dei dipendenti, calano, logicamente, i costi dell’azienda (” lavorare meno per lavorare tutti”).
I contratti di solidarietà attivi , meno utilizzati, sfruttano sempre il suddetto principio, ma non tanto allo scopo di non effettuare licenziamenti, quanto per favorire l’assunzione di nuovi lavoratori.
Entrambe le forme contrattuali sono incentivate dall’Inps mediante l’integrazione di parte del monte ore perso dai dipendenti.
I nuovi contratti di solidarietà attivi, di cui parla il Jobs Act, saranno dunque destinati a tutelare le lavoratrici madri precarie, in modo che il personale dell’azienda sia incentivato a cedere parte delle ore spettanti per agevolare l’inserimento delle colleghe: si tratta senza dubbio di un’innovazione senza precedenti nel nostro Paese.
Resta, però, da vedere come queste disposizioni generali ed astratte verranno attuate dai decreti delegati: certo è che, se la normativa risulterà ben congegnata, e se le risorse da mettere in campo, soprattutto, si riveleranno sufficienti,sarà possibile segnare una svolta che metta la parola fine alla barriera ed alla disparità di trattamento tra madri con contratto a tempo indeterminato e madri precarie.
Continuate a seguirci, vi terremo costantemente aggiornati sull’argomento!
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