Riassumiamo tutte le modifiche relative alle procedure di licenziamento, introdotte dalla Riforma Lavoro Renzi.
Con l’attuazione della Legge n.183/2014, nota a tutti come Jobs Act, da parte del Decreto Delegato del 24 dicembre 2014, in tema di licenziamenti saranno applicabili due regimi: il vecchio, rinnovato, rispetto all’assetto originario, dalla Legge Fornero, resterà per le assunzioni già effettuate alla data dell’entrata in vigore della legge, mentre quello conseguente al Jobs Act si applicherà per le assunzioni successive.
Il nuovo regime sarà applicato a operai, impiegati e quadri, (ma non ai dirigenti, per i quali vigevano, anche precedentemente, disposizioni differenti); non riguarderà i datori di lavoro con media occupazionale inferiore ai 15 dipendenti, o inferiore a 5, se agricoli.
Per queste aziende, dunque, non sarà effettuata la reintegra per licenziamento con motivazione insussistente, e le indennità per la conciliazione, o per licenziamenti viziati e illegittimi, saranno ridotte della metà, sino a un massimo di 6 mesi di retribuzione. Quest’ultima disposizione non si applicherà per i licenziamenti discriminatori o nulli.
La legge delega Jobs Act esclude, per i nuovi assunti, la procedura ex art. 7 della legge 604/66 (vigente per i datori che rientrano nell’art.18), ovvero l’obbligo di comunicare preventivamente il licenziamento alla DTL, nelle casistiche di cessazione per GMO ( giustificato motivo oggetto), per dare il via ad una conciliazione.
Il datore di lavoro, entro il termine per l’impugnazione del licenziamento (60 giorni dal ricevimento della comunicazione ), potrà infatti offrire al dipendente, in una qualsiasi sede conciliativa prevista dalla legge, una somma, non imponibile, né previdenzialmente, né fiscalmente, pari a una mensilità per ogni anno di servizio, e comunque compresa tra le 2 e le 18 mensilità (l’importo, per i piccoli datori, è pari ad un massimo di 6 mesi di retribuzione), per evitare il contenzioso.
Il lavoratore avrà comunque diritto all’indennità di disoccupazione (nuova NASPI), dato che la conciliazione avrà l’unico fine di evitare il giudizio.
Vediamo,ora, cosa accade nelle casistiche al di fuori della procedura conciliativa.
Innanzitutto, la normativa contempla, al pari dell’assetto precedente, degli indennizzi per i casi di licenziamento illegittimo, ma ne determina l’importo in base alla durata del rapporto di lavoro: da qui,il concetto di“contratto a tutele crescenti”.
L’istituto della reintegra permane , invece, nelle seguenti ipotesi:
licenziamento discriminatorio (a causa , ad esempio, del credo politico o della fede religiosa del dipendente);
licenziamento effettuato per causa di matrimonio o durante il periodo di genitorialità;
licenziamento privo della forma scritta.
Per queste casistiche, oltre alla reintegra, il dipendente riceverà un’indennità proporzionata all’ultima retribuzione ,comunque non inferiore a 5 mensilità , sulla quale dovranno essere versati i contributi previdenziali ed assistenziali.
Se il dipendente rinuncia alla reintegra, gli spetterà un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità .
Per quanto concerne le ipotesi di licenziamento per GMO o giusta causa illegittimo, si dichiarerà, in giudizio, estinto il rapporto di lavoro , e si condannerà il datore al pagamento di un’indennità, non soggetta a contribuzione, pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, sino a un massimo di 24 mesi (l’ammontare è dimezzato per le imprese con meno di 15 dipendenti, o 5, se aziende agricole).
Qualora, invece, la cessazione risultasse illegittima per insussistenza del fatto contestato, il licenziamento sarà annullato, ed il datore sarà condannato a reintegra più risarcimento del lavoratore; anche in questo caso, la disciplina non si applica piccoli datori.
Nell’ipotesi di meri vizi procedurali, verrà riconosciuto al dipendente solamente un risarcimento economico, computando una mensilità per ogni anno di rapporto, da un minimo di 2 ad un massimo di 12 (ammontare dimezzato per piccole imprese).
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