Convivenza di fatto e contratto di convivenza: che cosa si deve fare per terminare il rapporto e quali sono le conseguenze?
Dopo l’entrata in vigore della legge sulle unioni civili, sono state riconosciute nuove tutele alle coppie di fatto conviventi: in particolare, la normativa prevede ora determinati effetti sia per le semplici convivenze, che per le convivenze regolamentate da un apposito contratto.
Tuttavia, la coppia convivente non è totalmente equiparata a quella sposata: per questo, nel caso in cui la convivenza finisca non si apre alcuna procedura di separazione o divorzio, come invece avviene per le unioni civili e per le coppie coniugate.
La fine della convivenza, tuttavia, può avvenire con modalità differenti e avere conseguenze diverse, a seconda che l’unione sia, o meno, regolamentata da un contratto di convivenza.
Risoluzione del contratto di convivenza
In particolare, il contratto di convivenza termina al verificarsi di una delle seguenti cause:
- accordo delle parti;
- recesso unilaterale;
- matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un’altra persona;
- morte di uno dei contraenti.
- inadempimento dell’altro convivente, purché non di scarsa importanza.
Accordo di risoluzione del contratto di convivenza
I due conviventi possono decidere, d’accordo tra loro, di terminare il contratto di convivenza. L’accordo di risoluzione deve avere la stessa forma del contratto di convivenza: deve essere cioè redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contratto, per essere opponibile a terzi, deve poi essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Recesso unilaterale
Il recesso unilaterale si verifica quando uno dei conviventi dichiara di volere terminare il contratto di convivenza: anche in questo caso, l’atto deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Per essere opponibile a terzi, il recesso deve poi essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe e notificato all’altro contraente all’indirizzo indicato dal recedente o risultante dal contratto.
Se chi recede ha la disponibilità esclusiva della casa di abitazione, deve lasciare al convivente almeno 90 giorni di tempo per trovare un’altra sistemazione.
Matrimonio o unione civile
Il contratto di convivenza cessa anche nel caso in cui i due conviventi si sposino o contraggano un’unione civile, o uno dei due si sposi o contragga un’unione civile con un’altra persona.
In questo caso, il convivente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro convivente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.
Morte
Il contratto cessa, ovviamente, se uno dei due conviventi muore: in questo caso, il superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare l’estratto dell’atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto. Il professionista deve provvedere ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.
Fine della convivenza e comunione dei beni
Se il contratto di convivenza prevedeva il regime patrimoniale della comunione dei beni, alla sua cessazione la comunione si scioglie e si applicano le disposizioni relative allo scioglimento della comunione dettate dal codice civile.
Fine della convivenza di fatto
Nel caso in cui non vi sia un contratto in merito, gli interessati possono terminare la convivenza quando vogliono, di comune accordo o unilateralmente. Non è prevista alcuna formalità, né è necessario un procedimento giudiziario.
Se i conviventi, però, hanno dei figli, la cessazione comporta nei loro confronti effetti simili a quelli che derivano dalla separazione o dal divorzio. In particolare, i genitori conviventi che hanno riconosciuto il figlio hanno entrambi il diritto all’affidamento condiviso e l’obbligo di mantenimento, cura, istruzione ed educazione. Solo in casi particolari l’affidamento può essere esclusivo: è il tribunale ordinario a decidere sui provvedimenti riguardanti i figli.
Diritto agli alimenti
Se un convivente versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, il giudice può obbligare l’altro convivente a corrispondere gli alimenti.
Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata dalla legge.
Diritto al mantenimento
Una volta terminata la convivenza, il soggetto più debole economicamente non ha invece diritto al mantenimento, a meno che non sia stato previsto, nel contratto di convivenza, il pagamento di una somma di denaro (periodicamente o in un’unica soluzione) a favore del soggetto più bisognoso.
Termine della convivenza e casa familiare
Terminata la convivenza, la casa familiare spetta:
- al genitore con il quale i figli convivono o al quale sono affidati, in caso di figli minori o bisognosi di protezione (lo stesso vale per la successione nel contratto di locazione);
- al convivente proprietario esclusivo della casa, nelle altre ipotesi; questi ha il diritto di ottenere il rilascio dell’immobile da parte dell’altro convivente, che non ha alcun titolo per continuare a utilizzarlo; se il convivente non è proprietario ma è intestatario esclusivo del contratto di locazione, ha diritto di rimanere nell’abitazione, mentre il convivente non intestatario del contratto non ha il diritto di subentrare;
- ad ogni modo, al convivente non proprietario o non intestatario del contratto deve essere assegnato un congruo termine per il rilascio dell’immobile.
Risarcimento dei danni
La convivenza è un rapporto libero, che può venir meno in qualsiasi momento: per questo motivo, chi cessa la convivenza non può essere condannato al risarcimento dei danni. Lo stesso principio vale nei confronti del soggetto che ha determinato col suo comportamento la cessazione della convivenza.
Restituzione di spese e donazioni
La convivenza, anche se non ha la stessa valenza del matrimonio, è considerata una formazione sociale da cui derivano doveri che influiscono anche sui rapporti patrimoniali: per questo motivo, il convivente non può chiedere indietro le somme elargite per spese e acquisti effettuate durante la convivenza. Esiste difatti una giusta causa alla base delle attribuzioni patrimoniali, idonea a negare qualsiasi pretesa di restituzione.
Tuttavia, se un convivente effettua un notevole sacrificio economico, senza avere intenzione di arricchire la controparte e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa.
Mobili
Terminata la convivenza, i beni mobili facenti parte dell’arredamento dell’abitazione restano nella proprietà esclusiva di chi ne è titolare: pertanto, il convivente che li detiene senza titolo deve restituirli.
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