Vediamo insieme che cosa fare quando si è costretti ad assentarsi dal lavoro per lunghi periodi a causa di problemi personali.
Capita spesso, nell’arco della vita lavorativa, di incorrere in eventi di vario genere a causa dei quali siamo costretti ad assentarci: infermità nostre o dei familiari, infortuni , maternità, periodi di formazione, imprevisti in famiglia…
Le motivazioni per le quali si manifesta la necessità di mancare dal lavoro possono essere davvero tante.
Purtroppo, non tutte le ipotesi sono coperte da retribuzione: senza soffermarci nei particolari normativi, possiamo affermare che la malattia, l’infortunio e la maternità , entro un determinato limite, siano senz’altro indennizzati, così come lo è, parzialmente, il congedo parentale.
Maggiormente problematici risultano, invece, i congedi per eventi e cause particolari; la Legge 53/2000, all’Art.4, espone le casistiche retribuite, ovvero i permessi di tre giorni lavorativi all’anno, in caso di decesso o grave infermità del coniuge, di un parente entro il secondo grado, o del convivente ed i congedi retribuiti (di massimo 2 anni nell’intera vita lavorativa) per assistenza a un familiare con handicap in situazione di gravità.
Lo stesso articolo enuncia un’ulteriore ipotesi di congedo che può essere richiesto per gravi e documentati motivi familiari: si tratta dell’Aspettativa per motivi di famiglia.
Tale periodo, pur potendo avere una durata massima di due anni, in parallelo a quanto previsto per i congedi per assistenza di familiari con handicap, a differenza di quest’ultima casistica non è retribuito.
Durante la fruizione dell’aspettativa, il dipendente conserva il posto di lavoro ma, nonostante non abbia diritto alla retribuzione, non può svolgere alcun tipo d’impiego.
Il congedo non è computato ai fini dell’anzianità di servizio, né ai fini contributivi: il periodo può essere comunque riscattato, o può essere versata contribuzione volontaria.
Anche se la Legge richiede gravi e documentati motivi familiari, per ottenere l’aspettativa, molti contratti collettivi (tra cui quelli per i dipendenti statali e di Enti locali) ne concedono la fruizione anche per esigenze personali: può dunque non trattarsi di gravi motivazioni, ma di situazioni o interessi di particolare rilievo, che possono essere soddisfatti solo con l’assenza dal lavoro. In quest’ultima ipotesi, però, spetta al datore, ai fini della concessione del beneficio, valutare e comparare le ragioni del congedo, in relazione alle esigenze organizzative ed operative.
In entrambi i casi, la richiesta della fruizione deve essere presentata in forma scritta: il testo deve specificare la durata e la decorrenza dell’aspettativa e, ove possibile, deve essere accompagnato da documenti che comprovino le esigenze personali o familiari addotte.
La domanda , nella generalità delle ipotesi, va indirizzata all’ufficio del Personale, o ad una struttura avente le medesime funzioni. Sarà poi il datore di lavoro o il dirigente facente funzioni, ai fini della concessione del beneficio, ad attestare che non esistono esigenze ostative che ne impediscano la fruizione, assumendosi la relativa responsabilità.
Se il responsabile, invece, decide di non concedere l’aspettativa, dovrà adeguatamente motivare il diniego, indicando specificamente le esigenze di servizio che contrastano col godimento dei periodi richiesti.
Ad ogni modo, bisogna ricordarsi di presentare la domanda sempre con congruo anticipo, rispetto alla data d’ inizio dell’aspettativa, per consentire gli interventi organizzativi necessari per far fronte alla mancanza del dipendente; l’unica eccezione può essere costituita da situazioni di particolare urgenza.
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