Noi genitori, un po’ per necessità, un po’ per passione, a casa nostra siamo gli chef della situazione. Se i nostri piatti meritano un voto ben più alto della sufficienza, e se cucinare ci piace davvero tanto, perché non cogliere l’occasione per guadagnare, e diventare personal chef, ossia cuochi a domicilio?
Per intraprendere questo mestiere non è indispensabile aver conseguito il diploma alberghiero: sono validi requisiti per esercitare anche il completamento di un qualunque corso di studi (diploma o laurea), che preveda materie inerenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti. Inoltre, è consentita un’attività di somministrazione di alimenti e bevande o di commercio degli stessi anche a chi ha prestato la propria opera in imprese del settore per almeno 2 anni nel quinquennio precedente, o a chi ha frequentato un corso professionale attinente (corso SAB, che sostituisce il vecchio corso REC).
Ma di che cosa deve occuparsi uno chef a domicilio? Solitamente, si viene chiamati dai privati per cucinare in casa loro, magari per un evento o una festa. Oltre alla preparazione dei piatti, a seconda dei casi ci può essere richiesto di fare la spesa, ovvero di procurarci in anticipo le materie prime, di dare una ripulita alla cucina, di preparare la tavola o servire agli invitati. Non esistono compiti predefiniti, pertanto è necessario accordarsi prima con i clienti. Anche il prezzo non è standard, ma è consigliabile fare i conti in anticipo, a seconda del costo delle pietanze e del numero di persone da servire.
Gli investimenti iniziali sono quasi nulli, considerando che non si tratta dell’avvio di un’impresa (a meno che non vogliamo metter su un vero e proprio servizio catering, per il quale sarà allora necessaria l’iscrizione alla Camera di Commercio e l’assunzione di dipendenti), ma di un’attività di lavoro autonomo: sarà opportuno, comunque, se non la possiede già in casa, una dotazione base di coltelli, utensili da cucina e pentole ( presso i clienti potrebbe mancare qualche attrezzo necessario).
L’esperienza si fa, certamente, sul campo: in un primo momento l’apertura della partita Iva può non essere indispensabile. I nostri guadagni , fiscalmente, potrebbero essere giustificati come lavoro autonomo occasionale ( se entro € 5.000 annui, per un massimo di 30 giornate; sotto i 5.000 Euro, peraltro, l’iscrizione alla Gestione Separata Inps non è necessaria), oppure pagati con i buoni lavoro (voucher lavoro occasionale accessorio: si tratta di ticket che danno diritto a compensi, non imponibili Irpef, di 10€ l’uno, di cui 7,50 vanno al lavoratore, ed il resto all’Inps ed all’Inail).
Solo in seguito, se il giro di clientela aumenta, sarà indispensabile aprire la Partita Iva: se decideremo di avvalerci anche dell’opera di dipendenti o collaboratori, sarà necessario aprire una ditta individuale o una società, ed iscriverci al Registro Imprese , nonché aprire matricola Inps e posizione Inail.
Come farsi conoscere? Certamente non bastano i classici volantini, biglietti da visita lasciati nei negozi, ed annunci su testate e bacheche locali: nell’era di internet, avere un proprio sito web, semplice ma curato, assieme ad una pagina nei principali social, è d’obbligo. Tuttavia, nella rete la concorrenza è forte, ed il posizionamento su Google una vera battaglia: un modo per ottenere una buona visibilità, allora, può essere l’inserimento del proprio profilo nei portali specializzati, o nei siti web dedicati agli eventi locali.
Infine, mai trascurare il passaparola: curate i dettagli, fate del vostro meglio, non applicate prezzi eccessivi.
Un cliente soddisfatto vale più di mille pubblicità!
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